Scrivere di sé: quando la parola diventa soglia
- Glenda Geminiani

- 7 gen 2024
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 3 giorni fa
Scrittura Creativa e Terapeutica
“Ogni grande narrazione è almeno due narrazioni, se non di più: la cosa che è in superficie e poi le cose sottostanti che sono invisibili.” Smith

C’è una scrittura che nasce per essere letta dagli altri e una scrittura che nasce per essere ascoltata da chi scrive. È in questo secondo spazio che prendono forma la scrittura terapeutica, autobiografica e creativa: pratiche diverse, ma profondamente intrecciate, accomunate da un gesto essenziale, quello di fermarsi e dare parola all’esperienza. Scrivere di sé non è un mero esercizio letterario. È un modo per abitare la propria storia, per attraversarla invece di restarne prigionieri. Non serve saper scrivere “bene”. Serve piuttosto il coraggio di guardare, di sentire, di restare in contatto con ciò che emerge. La scrittura terapeutica non chiede risultati estetici. Non valuta, non giudica, non premia. Il suo valore risiede nel processo. Scrivere diventa una forma di cura perché permette di esprimere ciò che spesso resta compresso, di dare ordine a ciò che è confuso, di cambiare prospettiva su ciò che fa male. Quando un’esperienza viene vissuta, ne siamo immersi: emozioni, pensieri e sensazioni arrivano insieme, senza confini. Metterla sulla pagina significa trasformarla. Non siamo più soltanto dentro ciò che è accaduto, ma anche davanti. La parola crea distanza, e in quella distanza nasce la possibilità di comprendere, integrare, accogliere.

Per questo la scrittura è uno strumento prezioso nei percorsi psicologici, libroterapici e di consulenza filosofica: la pagina diventa un ponte tra mondo interno e dialogo, portando alla luce contenuti che a volte faticano a emergere nella sola parola parlata. Il diario, il journaling, la scrittura libera o guidata consentono di dare forma all’indicibile, rendere visibile ciò che era rimasto sullo sfondo, accompagnando la persona in un processo di maggiore consapevolezza. La scrittura autobiografica è il racconto in prima persona della propria vita. Chi scrive è insieme narratore e protagonista. Raccontarsi significa mettere in fila gli eventi, ma soprattutto ascoltare le emozioni che li hanno attraversati. Non si tratta tanto di un viaggio alla ricerca di chi siamo, quanto di un tentativo di comprendere il senso del nostro vivere. Spesso iniziamo a scrivere nei momenti di disorientamento, quando il filo sembra spezzato e sentiamo il bisogno di ritrovarlo. La scrittura diventa allora una forma di autoanalisi gentile, una via di cura che non forza ma accompagna.
Le neuroscienze e la psicologia ci ricordano che la memoria non è un archivio fisso: viene continuamente ricostruita e rinarrata. Scrivere permette di osservare il proprio passato con uno sguardo più ampio e meno rigido. Questo processo favorisce non solo la comprensione, ma anche una forma di pacificazione: con ciò che è stato, con le scelte compiute, con i limiti, propri e altrui.
Carl Gustav Jung ha sottolineato come il dialogo con l’inconscio sia fondamentale nel processo di individuazione. La scrittura, in questo senso, può diventare una vera e propria pratica di ascolto interiore: una modalità di dialogo simbolico con immagini, ricordi e contenuti psichici che emergono spontaneamente sulla pagina. Attraverso il diario e il journaling, la scrittura si avvicina a ciò che Jung definiva immaginazione attiva: uno spazio in cui la psiche può esprimersi senza essere immediatamente censurata dalla razionalità.
Ognuno di noi conosce la propria storia visibile: date, luoghi, relazioni, passaggi importanti. Ma sotto questa narrazione ne scorre un’altra, più silenziosa e potente: la storia sotterranea. È quella che abita l’inconscio, che orienta emozioni, scelte e ripetizioni.

La scrittura autobiografica è uno degli strumenti più efficaci per avvicinarsi a questa dimensione invisibile. A volte pensiamo di controllare il racconto, di sapere già cosa dire. Poi, improvvisamente, le parole prendono una direzione inattesa. Emergono ricordi dimenticati, immagini, sensazioni corporee. È la scrittura che rivela. In questo senso, la scrittura non mente. Può tentare di mascherare, rassicurare, compiacere. Ma quando le parole non sono autentiche, lo sentiamo. Stridono sulla pagina. La scrittura, come uno specchio, restituisce ciò che c’è, anche quando non vorremmo vederlo.
Scrivere di sé non significa solo raccontare fatti, ma attraversare immagini. Per questo può essere utile integrare la scrittura con fotografie, oggetti, luoghi significativi. Le immagini diventano porte d’accesso a parti profonde della memoria. Le fotografie, in particolare, conservano e testimoniano. Filosofia e psicologia ci insegnano che fotografiamo per lasciare traccia, per dire “io sono stato qui”. Guardare una fotografia e scriverne permette di contattare emozioni antiche, di dare parola a ciò che allora non poteva essere detto. Anche i luoghi del vissuto parlano. Le case, le stanze, le strade che abbiamo abitato portano con sé atmosfere, ruoli, trasformazioni. Scriverne significa riconoscere quanto ci abbiano modellato e comprendere se, oggi, sia tempo di rinegoziare il loro peso nella nostra storia.
Freud parlava della narrazione come mossa da due forze: il desiderio di gratificazione e quello di riparazione. La scrittura creativa apre mondi possibili; la scrittura terapeutica consente di riparare ciò che è rimasto irrisolto.
Scrivere permette di portare fuori ciò che ristagna dentro. Il risentimento, ad esempio, è un’emozione silenziosa e corrosiva. Metterlo sulla pagina significa arieggiare stanze chiuse da tempo, far entrare luce dove c’erano solo braci sotto la cenere. Con il tempo, spesso emerge un filo conduttore: una tematica ricorrente, una musica di fondo che parla di talenti, desideri, attitudini profonde. La scrittura non inventa questo filo: lo rende visibile. La scrittura autobiografica non trasforma solo chi scrive. Trasforma anche il modo di stare nelle relazioni. Favorisce una maggiore consapevolezza di ciò che abbiamo ricevuto e di ciò che abbiamo donato, delle ferite subite e di quelle inflitte. Rileggendo la propria storia può nascere una nuova indulgenza: non giustificazione, ma umanizzazione. Questo ha effetti profondi sul presente, perché restituisce fiducia nel proprio cammino, anche quando è stato accidentato. Tutti possono dedicarsi alla scrittura di sé. Ci sono però momenti in cui questa pratica diventa particolarmente necessaria: durante una crisi, dopo un trauma, nei passaggi di vita, quando manca il senso e serve ritrovare direzione.
Non è un ritorno nostalgico al passato. È un modo per guadagnare uno sguardo nuovo sul futuro. Scrivere di sé è un atto di presenza. È prendersi cura delle proprie memorie. Scrivere è dare dignità alla propria esperienza.

Pagina dopo pagina, la scrittura accompagna a riconoscere chi siamo stati, a comprendere chi siamo diventati e ad aprire spazio a chi possiamo ancora essere. A volte tutto comincia da una pagina. A volte, da una parola condivisa.
La scrittura può sembrare un gesto solitario. In realtà, quando si sceglie di essere accompagnati all’interno di un percorso di scrittura terapeutica, diventa uno spazio condiviso e protetto, in cui è possibile andare più a fondo senza perdersi. Un luogo in cui conoscersi, scoprirsi e dare voce alla propria storia con cura, senza esserne travolti. Nei percorsi di scrittura terapeutica, autobiografica e Libroterapia che propongo, la parola scritta diventa un’alleata: uno strumento di ascolto, di rielaborazione e di trasformazione, intrecciato alla riflessione psicologica e filosofica. Il diario, il journaling, la scrittura guidata e la lettura simbolica accompagnano la persona in un lavoro rispettoso dei tempi interiori, capace di aprire varchi di consapevolezza e nuove possibilità di senso.
Ogni percorso è pensato come un tempo dedicato, uno spazio di attenzione e presenza, in cui la scrittura aiuta a dare forma all’esperienza, a integrare ciò che è stato e a orientarsi con maggiore chiarezza nei passaggi della vita.
“Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni.” Roosevelt
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